Lunedì, 17 Maggio 2010 12:05

Piazza, outlet, nuova socialità. L'editoriale di A. Nesti

Scritto da  Gerardo

Come promesso, pubblichiamo qui di seguito Piazze, eventi estivi, outlet, forme di socialità in pubblico, l'editoriale a cura del direttore della rivista, Arnaldo Nesti.
Si ricorda che per abbonamenti e altre informazioni, si può visitare il sito dell’editore.
Buona lettura!






Editoriale: Piazze, eventi estivi, outlet, forme di socialità in pubblico (di Arnaldo Nesti)


Il "Tempo della Chiesa e tempo del mercante" di Jacques Le Goff rappresenta ormai un classico della medievistica. Il tema centrale della prima parte era la valutazione del lavoro nel Medioevo, oscillante fra il disprezzo dei primi secoli con gli echi dell’otium latino e la maledizione divina nei riguardi dei due progenitori, ecc. e la rivalutazione a partire dall’XI e XII secolo del mercante, della città, del mercato del sapere, mentre la seconda parte trattava della contrapposizione-interdipendenza tra cultura ‘dotta’ e cultura popolare nel Medioevo. Per l’autore va ricordato che il cristiano deve rinunciare al mondo come fine assoluto ma deve accettarlo come dimora transitoria, e, in pari tempo, accettarlo e trasformarlo poiché è il cantiere della salvezza.
In un tempo di globalizzazione cosa accade all’interno dei rapporti interpersonali e della comunicazione dentro e fuori i luoghi diversi?

Le reti telematiche, infatti, rappresentano, come struttura e come forma, singolari elementi di nuove aggregazioni sociali.
In realtà, anche se è vero che molti social software (è più corretto chiamarli così) sono relativamente simili, è il loro utilizzo funzionale da parte delle reti degli utenti che ne diversifica l’impatto e li rende più o meno efficaci sia come strumenti di promozione che come ambienti di informazione e documentazione. In rete, finalmente, non siamo più popolo, non siamo più numeri ma isole di arcipelaghi che talora prendono forma, altre volte galleggiano per incontrare altre isole; è una conquista importante, un passo in avanti lungo un percorso che porta dall’assuefazione alla morale comune come forma di delega rispetto ai problemi all’etica della responsabilità come ricerca dinamica delle loro possibili soluzioni.

I saggi che abbiamo raccolto in questo primo numero del 2010 intendono riflettere sulla funzione sociale di quegli spazi intermedi tra l’ambito famigliare e quello professionale come i caffè, i bar e le osterie, i parchi, le piazze, i centri commerciali, la cui caratteristica saliente è di essere spazi aperti a una socialità informale, al cui interno i cittadini hanno modo di interagire in forme non necessariamente strumentali e di impegnarsi in conversazioni spontanee sugli argomenti più vari. Anzi, con la globalizzazione e l’affermarsi di una società dei consumi, ha assunto un ruolo sempre più centrale agevolando la presenza degli outlet il vero segno del nostro tempo, più di internet, più dei telefonini, al punto che secondo taluni sarebbe il segno del degrado dei rapporti umani. Secondo un recente contributo giornalistico, "Outlet Italia" di Aldo Cazzullo, l’Italia sarebbe un grande paese che ha deciso di promuovere lo sviluppo di non-luoghi, direbbe Augè, regni del consumo, in cui si orientano il gusto e gli interessi dei cittadini, volti a sostituire i luoghi di incontro e di scambio di idee, di conoscenze, come le piazze.

Indubbiamente il mondo della comunicazione, ben al di là degli aspetti quantitativi, trascina risvolti molto più sottili. Parlando del mondo della comunicazione Alessandro Cacciari introduce chiavi singolari di lettura di McLuhan sulla scia della connessione fra cristianesimo e misticismo.
Il rapporto tra luoghi terzi e sfera pubblica era stato segnalato già da Habermas in "Storia e critica dell’opinione pubblica", con particolare riferimento ai caffè che si diffusero nelle città europee del Sei e Settecento. Per quello spazio relazionale e a quella modalità discorsiva che corrispondono alla nozione di sfera pubblica, le coffee-house svolsero un ruolo generativo e offrirono concretamente ospitalità. Da allora molte cose sono cambiate. Nonostante tutto, ben al di là della massiccia e forse imprevista immigrazione degli ultimi anni, mi pare affrettata, comunque, la tesi che ritiene esaurita la funzione degli spazi intermedi ed in particolare delle piazze, come singolari luoghi della vita sociale. Un discorso analogo mi sentirei di farlo in rapporto alla festa ed agli spazi della festa e del gioco.
Se l’Autosole, già spina dorsale del paese, unisce i vari outlet agevolando la loro comunicazione, va tenuto presente che allo stesso tempo si dà un’altra serie di eventi disseminati nel paese. Alludo in primis alla trama rituale e al festivo, agli eventi culturali estivi con le loro peculiarità.
La festa nel mondo globalizzato occupa uno dei luoghi privilegiati da cui osservare le trasformazioni del mondo, della società della vita. La festa, infatti, decodifica e scompone il reale socializzato di un gruppo per sostituirgliene un altro chiamato immaginario, modellato sull’ordine del desiderio. La festa, le feste si presentano come una sintesi di gratuità e di funzionalità ; gratuità nella sospensione del lavoro, delle regole sociali, dell’intelaiatura del quotidiano: funzionalità perché una tale sospensione più che evasione è interruzione dalla routine, per rinsaldare e rinnovare il quotidiano. Gli elementi centrali della festa, in genere, sono:
1. La dimensione interpersonale con mille forme di insiemitudine;
2. L’espressività a carattere simbolico rituale, ludico;
3. L’emozionalità.

Quando la visione è impossibile, la tensione cade, il suono diventa mera vibrazione e la festa decade a mera routine. La festa è parte fondamentale della vita che si manifesta, che nasce, che si svolge fino alla morte. La festa scaturisce come effetto, come albero della vita.
Una festa, che sia connessa alla trama rituale a carattere religioso o che sia connessa a un corteo o a una sfilata a carattere civile, presenta forti analogie.
Si pensi comunque a degli eventi che specialmente, nei tempi più recenti, nel periodo estivo ravvivano le strade e le piazze per le più diverse ragioni sociali. L’intento è sperimentare forme nuove di relazioni umane, con riferimento alle recenti migrazioni nel loro essere cerniera tra il passato e il futuro della società. Nell’arco di un anno si muovono risorse a livello locale, configurandosi una prospettiva di qualità della vita, non astratta, fondata su un confronto attento alle opportunità di incontro e di scambio tra diverse comunità etniche, ricercando modi di socialità aperte alla conoscenza reciproca e a momenti di contaminazioni culturale. Facendo riferimento a concreti casi come il Festival della filosofia di Modena, o a quello della letteratura di Mantova ecc., ognuno facendo leva su una cifra specifica, offre l’occasione ad un popolo disperso di riunirsi o in nome della poesia, o della scienza o della spiritualità o del volontariato, per ritrovarsi e trovare cifre corrispondenti al loro sensus vitae. Tengo a ripeterlo, ognuno ha una sua specificità. Le manifestazioni di Chiasso tendono alla conoscenza interpersonale quale fattore di diminuzione del pregiudizio. A Cremona l’attenzione verso il mondo del volontariato deriva dal fatto che l’espansione dei settori no-profit sul territorio, nella loro diversità quale combinazione di pubblico e di privato, mette in risalto come l’auto-realizzazione si coniuga con la solidarietà e un alto senso civico. Più che l’integrazione si cerca di sviluppare l’ineditoriale terazione tra il pensiero occidentale e le idee e gli usi di altri popoli che sono presenti nel territorio sostenendo il commercio equo e solidale e collaborando alle diverse campagne di aiuto e di sensibilizzazione internazionali.
I luoghi e i modi della socievolezza sono in continua ridefinizione, grazie anche alle reti mediatiche. Alcune occasioni di forte coinvolgimento sociale hanno perso lo smalto del richiamo, con la crisi della sfera politica e dello spessore ideologico diffuso, sono mutate le forme dell’attivazione e della partecipazione alla sfera pubblica, specialmente in virtù di nuovi intrecci tra interazioni faccia a faccia e interazioni mediate, per temi di rilevanza collettiva e luoghi di creazione di una sfera pubblica. Si sono nel frattempo affermate le pratiche e le forme spontanee e impreviste d’interazione in grado di dar vita a diverse forme di condivisione, negoziazione o conflitto degli atteggiamenti in pubblico. È in questo sfondo che nascono e assumono un proprio rilievo anche le iniziative che possono sembrare, e in parte lo sono, di nicchia, di spessore culturale, volte a cercare – trovare risposte al di là del coro, con impegno personale e non indulgendo agli aspetti spettacolari come le summer schools. Ne è un esempio la ‘International Summer Schools on Religions’ che si tiene, da anni, a S. Gimignano e nel 2010 sarà dedicata ad affondare l’attenzione su vizi e virtù degli italiani sulle pratiche di simulazione nell’ambito religioso e politico nel lungo periodo, in un’ottica comparata.

Se da un lato è possibile fornire nuove interpretazioni e rivisitare i concetti più classici, dall’altro sono possibili descrizioni e mappe dei luoghi e delle modalità delle contemporanee forme di socialità in pubblico che creano ed intensificano nuove forme di legami sociali. Dopo anni di individualismo forse è arrivato il tempo di capire che c’è un filo che lega gli uni agli altri. E dalla fine dell’individualismo, nasce una nuova socialità?

Tempo di crisi? Delle crisi che abbiamo visto (crisi economica, crisi tecnologica, crisi energetica), quella che più si qualifica come la crisi ed assume i toni più drammatici e disperati è quella esistenziale. La crisi dell’uomo che non sa più riconoscersi, che non può più vivere secondo i propri effettivi valori, che non riesce più a comprendere quale collocazione sociale gli spetti. Se è vero che di smagliature, nel tessuto consumista, ce ne sono state, è pur vero che il sistema ha dimostrato ampie capacità di riassorbirle e di annullarle. Basti pensare alla contestazione del 1968, dove i temi anticonsumistici erano il pane quotidiano: sui muri del maggio francese si leggeva: «il consumatore è consumato», «la società è un fiore carnivoro», «l’industrializzazione ci minaccia» , «consumate di più, vivrete di meno», «lavoratori e dirigenti sono bestie da produzione». Ma che fine hanno fatti tali denunce? Purtroppo bisogna rendersi conto che le capacità di riassorbimento della società dei consumi sono immense. Potremmo raffigurarla come una piovra dai mille tentacoli. Se l’individuo sfugge a un condizionamento finisce, inesorabilmente, preda di un altro. Siamo di fronte ad un sistema che si regge su di un potere corruttore e ricattatore diffuso, su di una serie incalcolabile di coinvolgimenti esistenziali e psicologici, cui nessuno, volente o nolente, rimane estraneo. La soluzione efficace può essere solo quella di un ripensamento capace di percorrere il difficile itinerario dell’autocritica individuale, che diventi costruzione, proposta alternativa responsabile e globale, che possa rappresentare l’interpretazione positiva delle generali, latenti insoddisfazioni.
Abbiamo visto come il superamento della società dei consumi imponga precisi temi e proposte alternative. Un uomo non volto al passato, ma anzi pronto a valorizzare gli strumenti offertigli dalla tecnica e dalla scienza per edificare, finalmente sganciato al metro restrittivo dell’utile economico, una società giusta, ricca di vera socialità. La società alternativa sarà la società delle intelligenze selezionate, degli impegni responsabili, delle volontà irriducibili di affermazione umana. In tale ottica innumerevoli soluzioni divengono possibili e realizzabili. L’errore di fondo nelle affermazioni di molti, è quello di considerare una società che indirizza e programma, necessariamente, come una società coercitiva e restrittiva. È la fine dell’individualismo? Nel frastuono delle piazze e delle feste di oggi c’è un fervore da cantiere creativo. Sono in molti a pensare che, nonostante gli spettacoli e gli scenari del caos, è in atto anche il tempo di una nuova socialità. La crisi spinge a riflettere sulla storia, sui legami, sul fatto che la convinzione di essere onnipotenti e autosufficienti è labile. Non temiamo, ma proviamo a riscoprire che siamo uomini sociali, per una nuova società da costruire e da ricostruire. Che dire poi della nostra Europa?


Post Scriptum
Nei prossimi giorni partirò per un viaggio in America latina. Prevedo di sostare in un paese dei più poveri, ma non per questo dei meno interessanti, il Paraguay.
Dopo le elezioni alla presidenza di Lugo, ha avuto fine una dittatura che durava da circa sessanta anni. Si è davvero aperto un nuovo cammino. Anche tramite queste colonne vorrei far giungere al nuovo Presidente gli auspici di «ReS» e dei suoi lettori che il Paraguay cessi di essere, nel cuore del Sudamerica, il paese dei sogni spezzati, il simbolo dell’utopia della rassegnazione.

Per motivi tecnici rimandiamo la pubblicazione del contributo di Carlo Ernesto Meriano, "Le radici politico-religiose di un convinto militante europeista: Balducci, Tartaglia, Lanza, Braibanti, Brugmans, Rossi, Fantoli" previsto nella sezione «Dialoghi - Documenti».



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